Il termine Digital Divide, o Divario Digitale, è un’espressione che affonda le proprie radici negli anni ’60. Oggi sta assumendo un significato sempre più evidente.
Si parlava allora di “far conoscere i computer alle persone”. Nel 1991 il termine Digital Divide viene per la prima volta utilizzato in un documento ufficiale, l’High Performance Computing Act. Tale documento ha di fatto sancito la nascita della rete a fibra ottica, divenuta poi “Internet”. Sappiamo tutti come questa abbia rivoluzionato il modo di condividere le informazioni, comunicare e conoscere.
Quasi ogni casa possiede un PC (o più di uno) e ognuno di noi ha uno smartphone. Quindi, sempre più spesso, si solleva il problema di una rete di connessione non sempre adeguata alla richiesta degli utenti. E’ come se “per un popolo di possessori di barche esistesse un mare con poca acqua per navigare” (Gabriele Carboni – Strategie web per i mercati esteri). In questo caso si parla di Digital Divide in relazione al divario infrastrutturale esistente tra domanda e offerta di connessione. Limiti di copertura, mancanza di banda larga, ecc., ancora condizionano molte zone del nostro Paese.
C’è un altro divario difficilmente colmabile, il “gap” culturale che divide le famiglie e le aziende dal resto del mondo. Il termine Digital Divide riguarda, infatti, anche l’accesso, l’utilizzo e l’impatto delle tecnologie nel regolare il traffico della comunicazione.
In questa infografica, Matteo Magaldi effettua una disamina per punti di come il Digital Divide possa essere superato dando nuova linfa allo sviluppo dell’economia nazionale, basata essenzialmente sulle PMI. Smart working e risorse messe in campo per la ripresa economica post emergenza Covid-19 devono dare un nuovo impulso al cambiamento.
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